domenica, settembre 29, 2013

Innamorarsi in una grande città: troppa paura



DIALETTICANDO



Innamorarsi in una grande città: troppa paura

di Alessandra Dal Monte







Vengo da un paese – Lonigo, Vicenza – in cui le dinamiche relazionali sono abbastanza lineari. Ci si piace, si esce qualche volta, se tutto fila liscio ci si mette insieme. Magari dura un mese, ma in quel periodo la ragazza e il ragazzo non hanno paura di dire che sono «morosi». 
Ecco, a Milano le cose sono un pochino diverse. Tanto per cominciare,l’espressione «stare insieme» non esiste. Al massimo «ci si vede». Di conseguenza nessuno ti dirà mai «sei la mia ragazza»: se ti va bene, sarai «la tipa» che lui sta frequentando.
Se ti va bene. Perché di solito va male.
C’è quello che la seconda sera ti porta a cena con gli amici d’infanzia, ripetendoti di continuo: «Ma perché non ti ho incontrato prima?». Tu sorridi e pensi di aver finalmente trovato un ragazzo normale, uno che non ha paura di far vedere quanto gli piaci. Peccato che dopo la terza uscita il ragazzo normale svanisca nel nulla. Se lo chiami risponde, e ti dice: «Scusa, è che mi lancio troppo all’inizio, ma poi mi tiro indietro».
C’è anche quello che ti riempie di messaggi: ti scrive «Buongiorno» e «Buonanotte», ti chiede cosa fai a tutte le ore. Ti fa sentire al centro dei suoi pensieri, ma non ha mai tempo di vederti: tra palestra, amici, partita non trova un momento. E quando sta a casa preferisce dormire: «Sai, io domani mi alzo presto».
Poi c’è quello con cui sembra tutto a posto. Grande intesa, messaggi e chiamate. Il problema è che non va bene solo con te: anche con la fidanzata storica, che non intende mollare. E c’è l’amico con cui avverti la scintilla: cinema, cene, chiacchierate. Lui ti riempie di complimenti e attestati di stima. Ma non ci prova mai e va in vacanza con un’altra. Poi c’è quello che al primo appuntamento confessa: «Sognavo da secoli di uscire con te». Ma a fine serata, anziché chiederti «Quando ci rivediamo?» ti dice«Keep in touch». Sì, proprio «keep in touch». Dopodiché si dilegua.
C’è pure quello che si è già dileguato. E a un paio di mesi dalla sparizione ti suona il campanello a metà pomeriggio: «Passavo di qua, mi offri un caffè?». Il caso classico, poi, è quello delle uscite che si protraggono per mesi senza un crescendo: nessun «Mi piaci», nessun «Sto bene con te». Solo qualche serata, con in mezzo tanti silenzi.
Insomma, in questa città esprimere sentimenti sembra vietato: si passerebbe per l’appiccicoso/a di turno. Sopravvive solo chi si chiude a riccio, chi finge disinteresse, chi gioca al ribasso.
Sia chiaro: questo non è un j’accuse contro gli uomini. Ci comportiamo tutti allo stesso modo, ragazze incluse. E finisce che, pur di non farci male, se incontriamo qualcuno che ci piace non glielo dimostriamo.
Ma perché a Milano le relazioni sono così difficili?
È la conseguenza della bulimia di incontri che la città offre? È perché, convinti di avere mille possibilità a disposizione, continuiamo a cercare quello che non abbiamo?

Oppure il problema è che non ci mettiamo mai in gioco perché siamo troppo spaventati? Forse temiamo di essere criticati, delusi, abbandonati. E allora non facciamo alcuno sforzo né alcun passo, così possiamo raccontarci che «tanto non ci abbiamo messo impegno».




4 commenti:

  1. MI PIACEREBBE TANTO SAPERE CHE COSA NE PENSANO GLI UOMINI. MA TUTTO TACE...
    ANNARITA.

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  2. Io non ho voglia di avere una relazione stabile; non mi interessa, ho i miei amici, il mio lavoro, i miei interessi. Ogni tanto incontro una che mi piace, stiamo un po' insieme ma mi stufo subito. Per questa ragione, non mi sono mai sposato e sono contento così anche se ogni tnto, lo ammetto, mi sento solo. D'altra parte, così riesco a gestire meglio anche mia madre che è anziana; se avessi una compagna, avrei meno tempo.
    Marco.

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  3. Avere un rapporto stabile è difficile e faticoso; è una continua ricerca di compromessi e di equilibri che facciano felici entrambi. Se avessi un rapporto a cui tengo, cercherei di riempirlo sempre di contenuti e lo controllerei come una motocicletta: occhio ai freni, a che ne sta l'olio, verifichiamo le gomme... insomma, un'attenzione all'altro perché non si allontani, non si distragga, non finisca - per la normale stanchezza nei rapporti di lungo corso, e magari anche un po' per mia distrazione - per guardare altrove. Molti uomini si sentono soffocare solo all'idea, ma è questo che consiglierei a mia figlia (anche se la avvertiti che difficilmente verrebbe reciprocata). Questo, e l'altra regola d'oro: non seccare l'altro.
    Adriana

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  4. Mi ha colpito nell'intervento di Marco quante volte ripete l'aggettivo possessivo: il "mio" lavoro, i "miei" amici, i "miei" interessi...E' indicativo di quanto sia forte in lui il desiderio di possedere. Non credo serva una laurea in psicologia per trarre qualche deduzione di "buon senso". (spero che Marco non se ne abbia a male...)

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